lunedì 21 maggio 2012

se lo vuoi soffri se non lo vuoi non soffri. perchè si #marciaperlavita parte11


Ecco una testimonianza un pò più lunga.. fare riferimento a questo post

Licia scrive:
Ho perso due figli. Sono rimasta incinta a febbraio di un anno fa e la gravidanza era inaspettata, la relazione con il mio compagno complicata e per nulla solida. Nonostante i problemi non abbiamo mai pensato di non portare avanti la gravidanza, ma la natura ha voluto che io abortissi spontaneamente. La mia prima esperienza di maternità si è conclusa con un raschiamento e talmente in fretta che non ho avuto modo di metabolizzare quanto avvenuto. Ho solo sognato una volta la mia bambina che avrei chiamato Paola. In quei mesi ho accumulato dentro me del rancore nei confronti del mio compagno che non mi è stato vicino e mi ha procurato, poco importa se involontariamente o meno, tensioni e sofferenze, e dei miei genitori che pur assicurandomi tutto l’appoggio non hanno saputo gestire la situazione e mi hanno provocato ulteriori pressioni psicologiche. Dopo l’aborto mi sono sentita allo stesso tempo sollevata e vittima. Rancore ne avevo anche nei miei confronti per essermi cacciata in una situazione così complicata che mi aveva portato solo tante umiliazioni e tristezza. Dopo alcune fughe e ritorni anche la storia col mio compagno sembrava essersi conclusa e invece, dopo tre mesi, ci siamo rivisti. Non me lo so ancora spiegare, ma ho avuto un’ovulazione tardiva e con il primo rapporto sessuale che abbiamo avuto sono rimasta incinta. Un’altra volta. Erano i primi di novembre ed in quei giorni sarebbe dovuta nascere Paola. Sembrava un segno del destino, una seconda possibilità per dare un lieto fine alla nostra storia. Pensavo che sarebbe stato tutto diverso, invece il mio compagno era sempre lo stesso, sentivo che ormai non era più amore quello che mi legava a lui. Non sono riuscita a sopportare l’idea di ripercorrere di nuovo quella strada, di sopportare altre umiliazioni. No, l’idea di me in quella situazione non sono riuscita proprio ad accettarla, non sono riuscita ad accettare mio figlio, Emanuele, anche se lui non era solo un’idea, e ho abortito, lui e me.
In quella situazione mi ero messa io, con superficialità, ma stavolta non ero più disposta ad assumermi la responsabilità di ciò che era accaduto.
Prima dell’aborto spesso dentro di me accusavo gli altri della mia infelicità e insoddisfazione, se vedevo la “parte buia” di un compagno fuggivo dalla relazione. Ora mi guardo e mi accuso di questa disperazione che provo, dalla mia parte brutta non posso fuggire.
Una cosa sconvolgente è stata scoprire il male dentro me, è stata scoprire di non essere la donna brava e buona che mostravo a tutti, bensì una grande superba. Avevo ingannato anche me stessa, non permettendomi di conoscere e accettare i miei limiti e di vedere la realtà di me al di là dell’immagine impeccabile che proiettavo al mondo.
Le cose non erano andate secondo i miei piani, l’uomo che avevo a fianco si era rivelato, durante la prima gravidanza, non essere quello dei miei sogni. Immaginavo la mia vita accanto a lui, col suo carattere così diverso dal mio, con tutti i problemi derivanti dalla sua precedente situazione familiare (ha già un figlio), dal suo lavoro, dalla situazione economica, che lo assorbono totalmente e lo rendono cieco davanti al mio bisogno d’amore e di attenzioni… e non mi piaceva più, mi spaventava. Pensavo che mi avrebbero tutti biasimata “potevi avere tutto ciò che volevi e guarda in che situazione ti sei cacciata”. La vergogna, la colpevolizzazione da parte dei miei, l’aver dato loro una delusione e un dispiacere. Questo figlio ho iniziato a rifiutarlo, ho iniziato anche ad avere paura che non lo avrei accettato neppure dopo la nascita come capita a tante donne. Invece la maternità che sognavo doveva essere perfetta. Ironia della sorte.
Ho permesso al male e alla morte di entrare nella mia vita e adesso mi terrorizzano dal profondo della mia anima. Mi fanno tanta Paura e io mi immagino piccola piccola correre spaventata a cercare protezione da mia mamma, ma lei non può proteggermi e non c’è nessuno in realtà che può aiutarmi.. perché i miei mostri sono dentro di me, e mi mordono lo stomaco, e mi prendono alla gola.
Sono stata ingannata, dalla Superbia che mi annebbiava la mente. Niente mi ha fatto sospettare che accollarsi lo struggimento per l’uccisione di un figlio, invece che la responsabilità della sua nascita, equivale a suicidarsi. Le poche persone con cui ho parlato (ginecologo, assistente sociale, infermiere) hanno fatto passare la cosa come un prendere in mano la propria vita e correggere una rotta sbagliata. E io cretina mi sono suicidata.
Ora è tutto così ovvio, se lo avessi tenuto con lui in braccio avrei sopportato tutto. Certo avrei dovuto prima chiedere aiuto per gestire quella depressione e quel rifiuto. Poi mi sarei legata al mio compagno, ci avrei provato, nonostante tutto, magari quel rifiuto sarebbe passato presto, lui mi avrebbe amata a modo suo, io a modo mio. Poi nel tempo forse avremmo discusso tanto, ci saremmo feriti, mi sarei sentita infelice e insoddisfatta del rapporto e probabilmente ci saremmo lasciati. La gente del paese mi avrebbe additata come “ragazza poco seria”. I parenti mi avrebbero criticata e commiserata perché avrei potuto scegliere una sorte migliore, ma mio figlio sarebbe stato lì con me a regalarmi ogni giorno sorrisi, e anche i miei genitori nonostante le critiche e il sentirsi amareggiati per il mio fallimento sentimentale sarebbero stati felici di abbracciare il nipotino che tanto aspettavano. E io avrei avuto sempre la speranza di un futuro migliore e pieno d’amore, con mio figlio vicino. Speranza che adesso non ho. Mi sforzo per qualche istante d’immaginare un futuro con una famiglia felice e dei figli che vorrei arrivassero prestissimo.. insisto ancora con lo stesso sogno! ma poi affiora sempre la tetra prospettiva che io possa rimanere per sempre sola con il dolore della mancanza dei miei figli e i miei sensi di colpa. Io non so quanta forza e felicità ti regala un figlio, lo intuisco, lo intuivo anche prima di abortire, ma non mi sono voluta bene, mi sono fatta male sapendo di farlo.
I postumi dell’aborto, che molte donne purtroppo conoscono, mi sono piombati addosso poche settimane dopo l’intervento, però ho preso coscienza dopo un paio di mesi dell’ORRORE. Mi sono sentita assassina, la peggiore: ho sempre considerato l’aborto come il crimine più efferato. E ho abortito.
Ho preso coscienza che avevo rifiutato quell’Angelo che mi era stato donato e che come mamma mi voleva. Come si può concepire questo pensiero e non tremare? Ma perchè non sono riuscita ad accoglierlo con tutta la tenerezza e la gratitudine che il mio essere può esprimere? è una domanda che mi tarla il cervello.
Gli assassini sono in galera, chi tocca i bambini rischia il linciaggio. Io che avevo ucciso mio figlio ero nel mio letto e tremavo il male che io stessa avevo compiuto. Pensavo che è stata proprio la superbia a far sì che l’Angelo portatore di luce fosse scaraventato all’inferno, ed io è proprio all’inferno che mi sentivo. Ma non riesco a perdonare me stessa.
Alcune donne probabilmente si sentono mamme da sempre, ad altre non bastano nove mesi d’attesa per abituarsi all’idea, io sento che sto diventando mamma piano piano, ma non ho mio figlio. Mio figlio l’ho preso per mano quando l’ho concepito, per un pò abbiamo camminato insieme, poi quando è iniziata la salita gli ho lasciato la mano per camminare più leggera. Adesso che lo cerco disperata non lo trovo più, ed è difficile proseguire da sola, non so nemmeno dove vado.
Se penso che posso aver generato in mio figlio un senso di smarrimento, solitudine e paura perché è stato abbandonato proprio dalla sua mamma, se penso che lui voleva stare aggrappato a me e si fidava, che poteva avere desiderio di me e di suo padre quanto io ne ho ora di lui, mi chiedo perché cercarla una speranza per me. Però già mi sono ingannata e non voglio farlo ancora. Forse sto impazzendo, ma ho la sensazione che la mia vita si svolga su piani temporali sfalsati. La vita scorre e io la rincorro, ma arrivo sempre troppo tardi. Non voglio arrivare tardi un’altra volta. Nella vita sono diventata mamma mesi fa, nel mio tempo sto diventando mamma ora, ma è troppo tardi. Nella vita ho ucciso mio figlio mesi fa, nel mio mondo mi rendo conto ora che uccidere un figlio è un abominio, ma è troppo tardi. Nella vita nell’anno appena passato ho avuto due figli che non volevo, nel mio mondo oggi li desidero tanto e mi mancano, ma è troppo tardi. E' tutto sfalsato. Persino lo schiaffo che ti sveglia dallo stato ipnotico in cui cadi quando decidi di abortire, che ti fa aprire gli occhi sull’orrore che hai perpetrato, non ti arriva subito quando sei lì ad abortire, no… lui ti lascia fare, e si prepara, si carica come una molla, prende la rincorsa, e quando ti arriva, perché ti arriva, dopo settimane, mesi o anni, è così forte che ti stordisce. Ma è ancora troppo tardi.
Ciò che provo oggi è tristezza, pena, paura, orrore, senso di solitudine siderale, rabbia, rancore, impotenza, senso di colpa logorante e una disperazione incontrollabile, inconsolabile, che non ti fa stare in piedi. Le crisi di pianto disperato, prima episodiche, si sono fatte sempre più frequenti, sono diventate ormai giornaliere, l’angoscia non mi lascia un attimo di sollievo, nè di giorno nè di notte, e mi rende difficile persino alzarmi dal letto, andare a lavorare, parlare, mangiare. Gli occhi e il viso sempre gonfi, l’aspetto trasandato, cammino zombie tra le gente sperando che nessuno mi veda, che si accorga che piango. Ecco, io l’ho visto, nell’ecografia, con la sua testolina tonda, cicciottella, e il cuoricino pulsante a 8 settimane. Eravamo al pronto soccorso, soli io e lui, per delle perdite di sangue. Ma stava bene. Quest’immagine ce l’ho davanti in continuazione, le parole non posso descrivere lo struggimento, la pena. Quella testolina l’avrei potuta toccare. Lui avrebbe avuto tutto. Ci penso e mi verrebbe voglia di farmi del male fisico pur di spostare l’attenzione da questo male dell’anima. Grido, mi dispero, mi viene voglia di chiedere la carità della morte, ma sarebbe troppo facile, io a questa vita devo prima restituire dignità. Vorrei finalmente riuscire ad aprire gli occhi, a reagire, liberarmi dalle catene delle mie gabbie mentali, trasformare questa sofferenza in qualcosa di positivo che mi permetta di dare un senso a quello che è accaduto.
Questo dolore è grande e cresce di giorno in giorno, stento a portarlo, non sono più lucida. E mi chiedo, come si fa a sopportare senza impazzire? 

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